Votes taken by Gas2009

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    Io lo pratico da quasi 3 anni, è molto divertente e salutare, ve lo consiglio!



    gc
    Il geocaching è un tipo di caccia al tesoro in cui i partecipanti, detti "geocacher", usano un ricevitore GPS per nascondere o trovare dei contenitori di differenti tipi e dimensioni. Questi contenitori sono chiamati "geocache" o più semplicemente "cache".
    Un cache può avere svariate dimensioni o essere di vari tipi, ad esempio può essere un contenitore da frigorifero. All'interno del cache si deve trovare sempre almeno un "logbook", ossia un piccolo blocco note sul quale il geocacher lascia un segno del passaggio sotto forma di firma o anche di un commento. Solitamente, oltre al logbook, si trovano anche oggetti di scarso valore (piccoli giocattoli, gadget, monetine, ecc), qualche volta anche una macchina fotografica usa e getta che viene utilizzata per scattarsi una fotografia ricordo.

    Funzionamento del gioco


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    ll geocaching è un'attività che si pratica in parte su internet, in parte all'aperto. Chiunque voglia parteciparvi deve, prima di tutto, avere accesso alla rete, in modo tale da potersi registrare su uno dei siti che forniscono le informazioni necessarie a questo gioco. Il più diffuso è il sito omonimo.

    Gli "hider", ossia i partecipanti al gioco che nascondono i geocache, devono pubblicare su tale sito sia le coordinate (longitudine e latitudine) in cui si trova il contenitore, rilevate accuratamente con un ricevitore GPS, sia una descrizione del luogo, il tutto accompagnato da eventuali suggerimenti. Questi sono spesso necessari in quanto la precisione del GPS difficilmente scende al di sotto del 3-4 metri ed all'errore della propria unità bisogna anche sommare quella dell'unità di chi l'ha nascosta. Per ogni cache nascosto esiste sul sito ufficiale una specifica pagina web con le caratteristiche, la descrizione, eventuali aiuti ("hint"), alcune foto o immagini, ecc. ecc.

    I "seeker", ossia gli utenti che vogliono cimentarsi nel ritrovamento dei geocache, possono accedere al sito web, acquisire le coordinate del o dei cache che intendono cercare e, dotati a loro volta di un ricevitore GPS, mettersi alla ricerca del contenitore. Una volta ritrovato, il geocacher deve seguire le semplicissime regole del gioco: riporta nel logbook il proprio ritrovamento e, qualora lo volesse, può prendere un oggetto dal contenitore, ma in quel caso deve lasciarne uno proprio. In questo modo i contenuti dei cache cambiano ad ogni visita.
    Solo dopo avere trovato il tesoro è possibile riportare sulla pagina del geocache il proprio ritrovamento, cercando, se possibile, di corredarlo di foto e, magari, di altre annotazioni che possono eventualmente fornire indicazioni a chi l'ha nascosto (e magari anche a chi lo vuole cercare). Ad esempio è molto importante riportare se il contenitore non si trova in buono stato, se non è più protetto, se il logbook sta per finire o altre annotazioni. In questo modo le pagine web dedicate ai varie cache si arricchiscono anch'esse via via di commenti, foto, segnalazioni, e così via.
    Ogni ritrovamento registrato, infine, contribuisce ad incrementare un contatore associato ad ogni utente, in modo da poter avere sempre sotto controllo il numero di cache rinvenuti. Indicativamente, i geocacher più appassionati del mondo hanno al loro attivo oltre il migliaio di ritrovamenti.
    I geocache ed il contenuto
    FONTE: Wikipedia
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    CITAZIONE (kostaki @ 5/12/2017, 02:19) 
    Gas puzza :Lpfzfs2:

    :dtJX5kf: :28.gif: :D
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    CITAZIONE (Povluc @ 1/11/2017, 08:08)
    bye1

    CITAZIONE (Fario @ 1/11/2017, 08:10)
    salve vecchiacci!! :71u2yp.gif:

    salve!! ancora respirate?!! :a065:
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    Allenarsi in modo costante è uno dei segreti per ottenere picchi di forma fisica e prestazioni in sella correlate. Questo però non significa che ci si debba allenare in modo ininterrotto, senza mai staccare e soprattutto andando in panico se non si può pedalare. L’allenamento infatti deve essere un continuo ciclo di sforzo-riposo-adattamento. Il problema è che molti ciclisti sono terrorizzati dall’idea di perdere la forma raggiunta anche solo perdendo un’uscita e così l’allenamento diventa ossessivo-compulsivo. In questo articolo andremo a vedere quali sono le caratteristiche di questa ossessione e come evitare di cadere in questa trappola.

    Le convinzione errate dell'atleta ossessivo


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    Quando chiesero a Eddy Merckx quale fosse il suo metodo di allenamento, rispose: “Corro molto”. Questo approccio al ciclismo, fatto di uscite estenuanti e ripetitive (lo stesso Merckx in inverno teneva la media di 300 km al giorno su e giù per il Belgio per preparare la stagione”), dove un giorno passato senza pedalare sia un giorno perso, è il primo passo per cadere nella trappola dell’allenamento compulsivo.
    La convinzione dell’atleta ossessionato dall’allenamento è che sia importante passare il maggior tempo possibile sui pedali, macinando chilometri su chilometri, senza dare peso ai segnali che il corpo manda. Di solito effettua uscite lunghe a velocità bassa, convinto di “fare fiato” in vista delle competizioni estive. Se capita che un giorno non possa allenarsi per vari motivi, diventa nervoso e si convince di perdere forma fisica e capacità di stare in sella.
    In realtà questa convinzione è totalmente errata, poiché numerosi studi scientifici (tra cui quelli sulla forza fatti da Tudor Bompa, l’uomo che ha inventato la periodizzazione) hanno dimostrato che un calo della forma fisica s’innesca solo dopo due settimane di totale inattività. Questo fenomeno viene definito “detraining”. Un solo giorno passato a riposare non può compromettere la forma fisica acquisita, anzi non può fare che bene, permettendo di attuare il meccanismo della supercompensazione.

    Glie errori del ciclista ossessionato


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    Quali sono gli errori più comuni che possono far innescare il vortice dell’allenamento ossessivo-compulsivo? Eccone alcuni:
    • Monotonia dell’allenamento: molti ciclisti sono convinti che allenarsi in bici significhi solo passare tempo in sella, senza mai variare. Per poco tempo o per molte ore di fila non importa, ciò che è importante è pedalare sempre, senza mai staccare. In realtà uno dei metodi migliori per ottenere in tempi più brevi un’efficiente forma fisica è appunto variare l’allenamento “I golfisti si allenano colpendo delle palle, i nuotatori usano le palette, i calciatori tirano slitte con pesi, altri usano mezzi speciali per allenarsi. I ciclisti pedalano e basta”, è una frase di Mike Kolin (preparatore atletico) che ben rappresenta la situazione;
    • Eccesso di ore in sella: per l’atleta ossessionato non conta la qualità e l’impatto dell’allenamento sul suo corpo bensì solo il tempo passato a pedalare e i chilometri macinati. A ogni uscita cercano di aggiungere una salita, una decina di chilometri, trenta minuti in più rispetto all’allenamento precedente. Come invece dimostrato dagli studi dei ricercatori sulla periodizzazione l’incremento del carico non deve essere continuo e senza stacchi, bensì deve essere diviso in microcicli dove l’aumento è graduale, alternati ad altri dove il carico diminuisce, per permettere al corpo di riprendersi dalla fatica;
    • Allenamento senza un piano: il ciclista compulsivo solitamente è quello che non ha bisogno di piani di allenamento né di preparatori atletici o di consigli. Per lui l’importante è pedalare, per mantenere la forma fisica (un’ossessione che uno psicologo dello sport statunitense ha definito come “nevrosi da sempre in forma”). In realtà non è fisiologicamente possibile restare in forma per tutto il tempo, bensì la massima capacità di prestazione è fluttuante e presenta dei picchi durante la stagione. L’obiettivo del piano di allenamento è fare in modo che i picchi di forma corrispondano alle gare più importanti;

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    • Ossessione per i numeri: cadenza, pendenza, watt frequenza cardiaca
    chilometri, VAM, peso, battiti a riposo. Il ciclista compulsivo non è ossessionato solo verso l’allenamento ma anche verso i dati che raccoglie. Cardiofrequenzimetro, sensore di potenza, sensore di cadenza, contachilometri e gps sono strumenti che devono essere funzionali all’allenamento, per valutare miglioramenti o regressioni ma bisogna stare molto attenti a non ossessionarsi con i numeri e non andare in crisi se nell’ultima uscita si “sono spinti” 20 watt in meno della precedente;
    • Riposo inadeguato: l’allenamento, per essere funzionale, deve prevedere cicli di sforzo e di riposo. E’ infatti durante la fase successiva allo stress indotto dall’allenamento che il corpo effettua gli adattamenti necessari al miglioramento. Lo stress infatti è “uno stimolo prodotto da uno stressor che porta alla rottura dell’equilibrio e che comporta una risposta non specifica dell’organismo” (Selye, 1956). Nell’allenamento lo stressor è lo sforzo a cui sottoponiamo l’organismo, che comporterà una rottura dell’equilibrio e una reazione di adattamento del corpo. Se non si a quest’ultimo il tempo per ritornare alla condizione di equilibrio ma lo si sottopone a continui sforzi, ben presto lo stress diventerà cronico. Come disse Greg Le Mond: “si dovrebbe riposare tanto duramente quanto ci si è allenati”;

    Le conseguenze dell'allenamento ossessivo


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    Come ben sappiamo a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria e quindi anche l’allenamento ossessivo avrà sicuramente delle ripercussioni sullo stato di forma fisica e sulla vita dell’atleta:
    • Perdita di motivazione;
    • Sovrallenamento;
    • Calo di peso corporeo;
    • Stanchezza cronica;
    • Fratture da stress;
    • Aumento dei battiti del cuore a riposo;
    • Malattie più frequenti (ad esempio raffreddori);

    Sono tutti risvolti poco piacevoli di un approccio al ciclismo “morboso”, che non ha alcuna logica ed è figlio di metodologie di allenamento ormai sorpassate, che non tengono conto delle innovazioni avvenute negli ultimi decenni.

    Concludendo


    Pianificazione, periodizzazione, variazione dell’intensità, differenziazione delle sessioni e riposo: questi i punti chiave per un allenamento ottimale e funzionale, che permetta di divertirsi e ottenere il massimo.
    L’allenamento ossessivo-compulsivo non è la soluzione e forse non lo era nemmeno per il grande Cannibale Merckx, che anni dopo quella famosa risposta (“corro molto”), aggiunse: “m’imbarazza vedere quanto ero magro”.

    Fonte: bikeitalia.it
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    io è una vita che cerco il punto F :canna2ba.gif:
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    sto scoreggiando da ieri sera! :53pu68l.gif:
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    Zone erogene : sono chiamate così le aree più o meno estese del corpo che, se stimolate, accendono rapidamente l’eccitazione. Una questione di alchimia sessuale, certo, ma soprattutto di chimica cerebrale: quando queste zone vengono “stuzzicate”, le loro terminazioni nervose inviano subito queste sensazioni gradevoli a una zona ben precisa del cervello, l’Ipotalamo
    Quest’ultimo, a sua volta, ordina alla ghiandola ipofisi di produrre determinati ormoni, con il compito di stimolare la produzione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali. E l’adrenalina, si sa, è un potente afrodisiaco naturale che alimenta il desiderio e amplifica il piacere. Non solo: quando la stimolazione delle zone erogene non è mordi-e-fuggi, l’ipofisi inizia a produrre ossitocina l'ormone dell'amore che non porta solo il benessere proprio di questo sentimento empatico, ma anche eccitamento.

    La mappa delle zone erogene non è standard, visto che ogni donna possiede una “cartina” personale: non per niente, c’è chi adora la stimolazione dell’orecchio, chi al contrario la detesta. È vero, però, che alcune zone, per una serie di caratteristiche fisiologiche, sono potenzialmente più erogene di altre.
    Ecco una mappa di massima, divisa in tre zone:

    Primarie: sono ubicate nell’apparato genitale stesso e sono il clitoride, i due corpi bulbo-cavernosi, le piccole labbra, la zona periuretrale (intorno all’uretra), il vestibolo e il famoso punto G.
    Secondarie: un po’ più vicine all’area genitale, possono essere così ipersensibili da rivelarsi per alcune donne un’alternativa all’atto completo, ovvero il seno, i glutei, il pube, l’ano, il perineo.
    Arcaiche: sono le zone più lontane dai genitali, ma estremamente sensibili al tatto, ovvero i capelli, la nuca, le orecchie, la bocca, la schiena, le ascelle, le gambe e i piedi.
    Facciamo il punto sul punto G
    Esiste o non esiste? O meglio: ce l’hanno tutte o solo poche elette? Fiumi di inchiostro sono stati dedicati alla piccola struttura ribattezzata punto G, in onore della prima lettera del nome del suo scopritore, il medico tedesco Grafenberg. Correvano gli anni ’50 e, a distanza di decadi, oggi gli esperti hanno raggiunto un verdetto unanime. Il punto G esiste, ma solo nel 40-50% delle donne, ovvero quelle che riescono ad agguantare l’altrettanto dibattuto orgasmo vaginale. Questo piccolo organo embrionale che, anatomicamente parlando, è l’equivalente femminile della prostata maschile può essere infatti sviluppatissimo, poco sviluppato o assente. Come trovare il punto G? Chi ce l’ha, lo può trovare a 3-4 centimetri all’interno della vagina, sulla parete superiore: una banale esplorazione manuale basta a rivelarne la preziosa presenza, peraltro denunciata anche dalla possibilità di raggiungere l’apice del piacere senza stimolazione diretta del clitoride, ma con la semplice penetrazione.
    Orgasmo vaginale vs orgasmo clitorideo
    Ogni tanto, dagli Stati Uniti importiamo non solo hi-tech e know-how, ma anche inutili diatribe, destinate a sollevare altrettanto inutili polveroni, che si depositano solo dopo anni di discussioni. È il caso della questione orgasmo vaginale o orgasmo clitorideo? , che ha gettato nello sconforto non poche donne, incapaci di raggiungere l’acme con la sola penetrazione. Certo l’Europa ci ha messo del suo, visto che il nostro Freud bollava l’orgasmo clitorideo come immaturo, tipico delle prime fasi dello sviluppo psicosessuale e destinato a essere soppiantato dall’orgasmo vaginale una volta raggiunta la maturità sessuale. Le donne che non riuscivano a fare il salto, erano accusate addirittura di nevrosi. L’assoluzione è arrivata con Master e Johnson, gli apripista della sessuologia moderna, che hanno inaugurato però un lungo periodo pro orgasmo clitorideo: ancora oggi, la tesi secondo la quale dietro tutti gli orgasmi femminili c’è la stimolazione diretta o indiretta del clitoride conta molti sostenitori. Ma che dire, allora, delle non poche donne che assicurano di raggiungere l’orgasmo senza stimolazione clitoridea? Tutte bugiarde? Niente affatto. Esistono più tipi di orgasmo: quello clitorideo (alla portata di circa il 90% delle donne), e quello vaginale, alla portata di quel 40-50% munite di punto G. E poi anale, onirico, da ipnosi, sensoriale (dalla stimolazione di uno dei cinque sensi)… Insomma: è vero che una grossa fetta della popolazione femminile ha bisogno della stimolazione clitoridea per scalare le vette del piacere, ma è altrettanto vero che una percentuale non irrilevante può raggiungere la cima con la sola stimolazione e che una parte più ristretta può sperimentare altri tipi di orgasmo. A ognuna il suo.

    Edited by Gas2009 - 26/7/2017, 13:28
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    la mia paura è che peggiorerà molto di più :look.gif:
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    RNJmW
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    CITAZIONE (Smithd176 @ 30/10/2016, 07:58) 
    Thanksamundo for the post.Really thank you! Awesome. decekedbefcadade

    CITAZIONE (Pharme265 @ 6/11/2016, 19:30)
    Hello!

    :look.gif:
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    :winter19.gif:
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    155937734_235ffdda_a752_4fc1_99e4_4027d2d707db
    NEL 2007, pochi giorni prima dell'arrivo sul mercato del primo iPhone, gli analisti di Forrester Research scrivevano: "L'iPhone obbligherà i competitor come Motorola a inseguire questi standard e gli operatori di telefonia a cercare una reazione ma, sostanzialmente, l'iPhone non cambierà la struttura fondamentale e le sfide del mobile business. L' iPhone rimarrà un prodotto di nicchia. Il lancio dell' iPhone pone standard elevati per i produttori di telefonini come Nokia, Motorola, e Samsung. Ma pochi abbonati americani considerano le caratteristiche dell' iPhone - riproduzione di musica e video, email e mobile Internet - un "must have" per il prossimo telefonino".
    No, non avevano ragione gli analisti. E qualche mese dopo l'uscita dell'iPhone il CEO di Nokia, Olli Pekka Kallasvuo, ci diceva in un'intervista: "Non credo che le scelte della Apple abbiano qualche significato nella nostra strategia odierna. Il touch screen dell' iPhone non è una novità assoluta, è andato di moda qualche anno fa, poi è scomparso, adesso ritorna e certamente c' è un mercato per i prodotti con il touch screen. Ma se vuoi avere successo devi avere un grande portafoglio di prodotti per vendere macchine diverse in mercati diversi e noi siamo gli unici ad avere la copertura e la strategia: noi siamo in tutti i mercati, offriamo tutti i prezzi, tutti i modelli, a tutta la gente. Saranno i consumatori a decidere se il touch screen è qualcosa che vale la pena avere. Qualche volta sei tu a guidare il mercato, altre volte segui il trend". No, non aveva ragione Olli Pekka. Avevano ragione Jobs e la sua Apple.

    Sono passati cinque anni dalla scomparsa di Jobs e, come ovvio, molte cose nel mondo sono cambiate. Compresa la Apple. L'azienda di Cupertino, tornata ad essere dopo il 1997 ad immagine e somiglianza del suo fondatore, oggi è molto diversa, ma non perché Tim Cook abbia deciso di "tradire" i fondamentali imposti da Jobs, ma solo e necessariamente perché il mondo è diverso, quello che bastava nel 2007 al lancio dell'iPhone oggi non basta più, prodotti fondamentali come l'iPod (che nel 2011 era il lettore mp3 più venduto al mondo e oggi è sulla via del dimenticatoio) non sono più fondamentali, quello che ci sembrava secondario 1.825 giorni fa oggi molto spesso ci appare fondamentale nel mondo delle tecnologie. Se Apple fosse rimasta la stessa di cinque anni fa non staremmo nemmeno scrivendo queste righe, la mela morsicata avrebbe fatto la stessa fine di Nokia, Motorola e Blackberry.

    E invece no, Apple negli ultimi cinque anni ha messo in campo una molteplicità di progetti: sei modelli diversi di iPhone, dal 4s del 2011 al 7 odierno, dieci diversi modelli di iPad, sei diversi iPod, cinque diverse versioni di PC fissi e portatili, due modelli di Apple Tv e due di Apple Watch, il prodotto più recente nella linea hardware. E solo pochi di questi progetti erano già nella "pipeline" previsa da Jobs, il resto è frutto del lavoro del team che Cook ha messo all'opera e che, forte di personalità di spicco come Joni Ive, Angela Ahrendts, Eddie Cue, Luca Maestri, Craig Federighi, Phil Shiller, solo per citare quelli più in vista, governa oggi l'azienda, in maniera certamente più collegiale che in passato.

    La Apple di oggi ha in parte abbandonato la filosofia di Jobs, oggi sul mercato, tanto per fare un esempio, ci sono cinque diversi modelli di iPhone, dal piccolo e più economico 5SE (con un prezzo che comunque parte da 509 euro), al più grande e costosissimo iPhone 7 Plus (una belva che parte da 939 euro), cosa che fino a cinque anni fa sembrava difficile da immaginare, ma che oggi serve ad Apple per muoversi più agilmente in mercati diversi e per conquistare pubblici differenti. Ma allo stesso tempo ha giusto poche settimane fa ribadito che il suo atteggiamento "filosofico" è sempre lo stesso, eliminando l'ingresso per il jack dal suo smartphone, in perfetta solitudine nel mondo (così com'era un eone fa, quando i computer di tutto il pianeta parlavano la lingua di Windows e chi aveva il Mac viveva isolato nel proprio mondo, fatto di computer belli, costosi e solitari). E' la Apple di oggi, che punta sui servizi e sul software molto di più di quanto non abbia fatto nelle ere precedenti, è un'azienda che ha capitalizzato sull'iPhone e che, come tutte le altre aziende del settore, deve guardare in avanti, perché anche l'iPhone non è eterno, ma è anche un'azienda che non ha mai mollato un centimetro sulle proprie idee, sul proprio modo di stare sul mercato. Meno visionari di un tempo? Difficile dirlo in un momento storico che offre poco spazio ai visionari e troppo agli scommettitori finanziari. Ma è anche difficile non definire visionario chi sta lavorando alla nostra vita connessa, in casa e in auto, a chi pensa alle possibili interazioni nel campo medico o a cambiare radicalmente il nostro modo di concepire un orologio e gli usi che se ne possono fare. Meno avventurosi di un tempo? Probabilmente si, Cook e i suoi hanno meno voglia di correre, non vogliono avventure delle quali non possono controllare lo svolgimento o quantomeno influenzarlo, non cercano l'effetto sorpresa. Ma, a ben guardare, non lo facevano neanche ai tempi di Jobs: tra l'iPod (2001) e l'iPhone (2007) passarono sei anni, non certo un "quarter". Dall'iBook del 1997 al primo MacBook passarono quasi sette anni, e comunque Cook e i suoi lo scorso anno hanno aperto una linea di prodotto completamente nuova con l'Apple Watch, diventando immediatamente, non dimentichiamolo, i secondi produttori di orologi al mondo.

    Si dovrebbe comunque dire, rischiando di essere presi in giro per l'ovvietà dell'affermazione, che Cook non è Jobs, e che quindi ogni paragone è difficile. Jobs era spettacolare e trendy tanto quanto Cook è straordinariamente normale e uncool, Jobs era un perfetto incrocio tra un venditore, un guru, un visionario, un uomo d'affari e un despota, Cook è un sincero democratico, compassato e modesto, schivo e per nulla ciarliero, concentrato però sulla Apple allo stesso modo di Jobs, come dimostra il famoso aneddoto della riunione del CEO con un gruppo di investitori che si lamentavano di investimenti moralmente sani ma che portavano poco profitto all'azienda: "Facciamo una sacco di cose per ragioni che non hanno a che fare con il profitto, vogliamo lasciare il mondo meglio di come l'abbiamo trovato. Se volete che prenda decisioni soltanto basandomi sul profitto vi suggerisco di vendere le azioni", rispose Cook. E questa è la stessa azienda di cinque anni fa, anzi anche di più, perché il mantra di Jobs è sempre stato "Se tieni sempre un occhio fisso sul profitto trascurerai il prodotto. Ma se ti concentri davvero sul prodotto, il profitto arriverà".

    Non che Cook manchi di visione: i motivi dell'acquisizione della Beats di Dr.Dre sono oggi chiari, visto l'iPhone 7, la scomparsa di cuffie e auricolari analogici e l'unicità sul mercato, Così come l'acquisizione della migliore azienda che consentiva ad Apple di mettere il lettore di impronte sul suo iPhone, due anni prima dell'immissione sul mercato, eliminando peraltro ogni possibilità di ragionevole concorrenza qualitativa. Cook ha semplicemente seguito l'indicazione che gli diede Jobs sul letto di morte, "Do what's right", fai quello che è giusto. E in questo non ha mai tradito l'insegnamento del fondatore. Ma Cook è Cook, non è un ragazzo dell'era psichedelica che ha inventato la Apple nel garage, è un manager del nuovo millennio, che sta guidando l'azienda durante l'attraversamento del medioevo, nel pieno del passaggio dall'era analogica a quella digitale, passaggio che è iniziato da poco e che durerà ancora per molto, prima di vedere, tutti, l'alba del mondo che verrà. E che non avrà, probabilmente, la forma di un iPhone, così come le forme di oggetti che oggi consideriamo insostituibili e che, invece, verranno inesorabilmente sostituiti da altri, che faranno meglio quello che noi vogliamo che facciano. Jobs progettava oggetti per la fine del mondo che conoscevamo, Cook ne deve progettare altri per il mondo che ancora non conosciamo. Non è lo stesso lavoro, anche se è la stessa azienda e per Cook fare "quello che è giusto" sarà indubbiamente più difficile.

    Fonte: repubblica.it
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    CITAZIONE (Fario @ 2/7/2016, 08:39) 
    Psv3Z93

    ciaoo :dtJX5kf:
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    CITAZIONE (kostaki @ 1/6/2016, 14:54) 
    mi sono già stufato dell'estate :winter19.gif:

    non vedo l'ora che arrivino quelle belle giornate cupe con la nebbia e la pioggia con il bel freddo!!fanculo il sole e tutte le cazzate che si porta dietro! :53pu68l.gif: :53pu68l.gif:
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221 replies since 10/8/2009
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